20/12/07

SÌ, PRONTI A SOTTOSCRIVERE LA MORATORIA

L’ABORTO, DOPO LA PENA DI MORTE

SÌ, PRONTI A SOTTOSCRIVERE LA MORATORIA

MARINA CORRADI - Avvenire

Una moratoria anche per l’aborto. Dalle colonne del 'Foglio' Giuliano Ferrara lancia un sasso nello stagno dei rallegramenti, pure doverosi e sacrosanti, per il voto dell’Onu. E ricorda che oltre alle sedie elettriche e alle forche che ci indignano, ogni anno al mondo si fanno milioni di aborti. Si abortiscono i figli non voluti ma anche quelli che non si hanno i soldi per mantenere, le femmine ritenute di troppo dalle politiche demografiche delle tigri asiatiche, e quelli imperfetti, o come tali identificati, con interventi singolarmente chiamati 'aborti terapeutici' – dove la terapia del malato è la morte. 45 milioni di aborti all’anno nel mondo, 130 mila in Italia, e, ci dicono, è un soddisfacente risultato. Se un bambino muore l’Italia si commuove, ma quei centomila non esistono, e non interessano. Invisibili. Ci fa piacere che sia un laico a lanciare il sasso, perchè, l’avesse fatto un cattolico, non gli avrebbe badato nessuno: i soliti cattolici, fissati con «gli embrioni e quella roba lì», come ha detto Eugenio Scalfari l’altra sera a 'La7', intervistato proprio da Ferrara.

Ma, dunque, una moratoria sull’aborto. In che senso, in che modo in Italia si può parlare di questa 'moratoria', che naturalmente i cattolici sottoscrivono, senza fare dell’utopia? È di questi giorni, a Milano, la notizia delle dimissioni della storica presidente del centro di aiuto alla vita della Clinica Mangiagalli. Paola Bonzi, la donna che nel 1984 fondò nella maggiore Maternità milanese un luogo per aiutare le donne disposte a discutere la decisione di abortire, getta la spugna per protesta: non ha più fondi per andare avanti. Cosa è successo? Due anni fa l’allora primario Giorgio Pardi – ai tempi, autore del primo aborto legale a Milano – si rese conto di come il target delle donne che abortiscono fosse cambiato, da quel lontano 1978. Negli anni Settanta, femministe e borghesi; oggi, all’80% extracomunitarie che rinunciano al figlio per non perdere un lavoro in nero. Pardi si spese – prima di morire all’improvviso, pochi mesi fa – perché tutte le donne che andavano a abortire in via Commenda venissero a conoscenza del Cav. Così in due anni l’utenza è aumentata dell’83%. Solo nel 2006, 833 bambini sono nati grazie all’aiuto del centro. Alle loro madri sono stati distribuiti 604 mila euro per sostenerle nei mesi della gravidanza.

Bene, ma: troppe madri e troppi bambini, ora i soldi sono finiti. In Comune, An vorrebbe stanziare 200mila euro per il Cav, ma i radicali sono andati su tutte le furie. Soldi a un Centro di aiuto alla vita? Mai.

E tutto questo per dire che la moratoria sull’aborto deve cominciare dalla applicazione piena della 194. Il Cav della Mangiagalli è un «consultorio familiare accreditato», di quelli cui l’articolo 5 della legge assegna il compito di «rimuovere le cause» che portano la donna all’interruzione della gravidanza, «di promuovere ogni intervento atto a sostenerla» ,«sia durante la gravidanza che dopo il parto». Questa è, semplicemente, la legge. I fondi per queste attività non sono elemosine da domandare, devono essere garantiti, se la legge li prevede. Una moratoria per l’aborto, bellissimo. Forse meno politically correct che contro la pena di morte, non piacerà ai radical chic, nei quartieri alti, alle femministe invecchiate che non si riconoscono in quelle poveracce romene che se appena hanno i soldi per mangiare, il bambino se lo tengono.

Ma che questa 'moratoria' sia una cosa concreta. Che i consultori propongano davvero un’alternativa. Che ci si domandi che segno è, quest’impennata di domande di aiuto nella prima Maternità del Nord – e se davvero non fare un figlio è ancora e sempre una scelta. E quanti figli si salvano, se tra tante porte chiuse se ne trova almeno una aperta.

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