20/07/11

Sesso facile e aborto: ecco i giovani secondo l'ONU

Sesso facile e aborto: ecco i giovani secondo l'ONU

di Marco Respinti

20-07-2011

 

 

L’ONU "catechizza" i giovani per farne degli «avvocati del sesso». E il braccio operativo di cui si servono le Nazioni Unite è l’International Planned Parenthood Federation (IPPF), cioè il più famoso e famigerato, nonché potente e danaroso abortificio del mondo. Così denuncia del Catholic Family & Human Rights Institute di Washington.

In vista dell’ennesimo simposio organizzato per il 25 e il 26 lugliodall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in occasione dell’Anno internazionale dei giovani (l’anno è cominciato l’agosto scorso, e chi se n’era accorto?) l’IPPF s’inventa infatti la sessualità disinibita e "generosa" come diritto inviolabile dei giovani da difendere preparandosi, studiando, insomma trasformandosi in veri e propri militanti. Le dritte sono le solite, quelle a cui l’IPPF ha da tempo abituato il pubblico: aborto a richiesta e il più possibile libero, contraccezione a go-go, promiscuità pure, e la masturbazione come strumento "di lotta" e "di governo" di sé. In questo spirito, del resto, nel marzo 2010 l’IPPF predispose una guida a dir poco scandalosa distribuita dall’Associazione mondiale delle ragazze scout durante un simposio "senza adulti" facente parte del convegno annuale della Commissione ONU sulla condizione delle donne. E cose così l’IPPF le torna a scrivere oggi in due manuali giovani pubblicati proprio in vista del suddetto simposio ONU sui giovani.

Il primo s’intitola Exclaim! Young people’s guide to "Sexual rights: an IPPF declaration"("Esclama! Guida per giovani a Diritti sessuali: una dichiarazione dell’IPPF"). Come recita il titolo, è unvademecum per il corretto uso del manifesto con cui dal 2007 l’IPPF guida una campagna mondiale tesa al riconoscimento dei "diritti sessuali" come diritti umani fondamentali reclamando protezioni giuridiche internazionali della sessualità e del "famoso" gender secondo l’idea che i «governi debbono rispettare, proteggere e soddisfare tutti i diritti sessuali dei giovani».

L’IPPF allena insomma i giovani affinché si facciano carico in sede ONU del sesso libero e abortivo. Per aiutarli nell’azione, il manuale elenca una serie di provvisioni, di nicchie e di “fili di rasoio” giuridici già presenti nella legislazione internazionale inerente i diritti umani che possano essere capziosamente e a fortiori utilizzati per la "buona battaglia", ed estensivamente interpretati come "diritti sessuali". Per esempio che il «diritto a conoscere e ad apprendere» includa finalmente «la fine dei programmi di educazione sessuale basati esclusivamente sul concetto di astinenza», promuovendo in loro vece approcci più inclusivi. I giovani, infatti, insiste il manuale dell’IPPF, debbono convincersi: il loro "diritto al piacere sessuale" è sovrano e «sperimentare forme diverse di piacere sessuale è importante per la loro salute e il loro benessere». Di fatto, come scrive esplicitamente il suddetto manuale, significa battersi per la liberalizzazione massima dell’aborto, per l’autonomia totale dell’individuo nel comunicare quale sesso indicare sui propri documenti d’identità e per l’accesso illimitato alla contraccezione per tutti.

Il secondo manuale, I Decide: Young women’s journeys to seek abortion care ("Io decido: viaggi di giovani donne che cercano assistenza per abortire"), raccoglie paginette di diario di giovani in cerca di aborto, impaginate a metà tra il psichedelico e il flower-power d’antan.  Tra l’altro, il testo viene pubblicato come parte integrante di un progetto architettato dall’IPPF - "Girls Decide: Stand Up for Choice on Sex and Pregnancy" ("Decidono le ragazze: difendi la libertà di scelta su sesso e gravidanza") - e lanciato nel 2010 con il supporto del programma di coordinamento con le organizzazioni non governative internazionali del ministero degli esteri dei Paesi Bassi.

Contiene consigli, siti utili, "lo sapevate che in alcuni posti agli adolescenti fan lo sconto sull’aborto?", schemini e disegnini di come usare pillole, preservativi, spirali, etc., nonché una tabella di comparazione tra i vari metodi abortivi così che le ragazze possano scegliere in serenità. In una delle entry di uno dei diari riprodotti nel manuale si legge di «persone orribili fuori dalla clinica» abortista impegnate a dissuadere le giovani dal sopprimere la vita che portano in grembo: e cioè «una donna che grida, una suora e due vecchi che pregano». In un "nota bene" si ricorda alle ragazze che per provocare aborti "discreti" si possono benissimo usare quelle compresse di Misoprostol che in farmacia si vendono per prevenire le ulcere gastriche: basta assumerle mettendole nascostamente sotto la lingua e «nessuno sarà in grado di dire che avete ingerito un farmaco per indurre l’aborto»: del resto, nota Amanda Pawloskidel Catholic Family & Human Rights Institute, «la sezione statunitense della Planned Parenthood è stata di recente messa sotto osservazione pubblica perché sospettata di  avere adottato tattiche ingannevoli e illegali con minori».

Ma evidentemente il tarlo sta nel manico. Nonostante la crisi che sta strangolando le economie di mezzo Occidente, è infatti proprio l’ONU che s’indispettisce quando certi governi si mostrano renitenti nel rimpinguare le casse sempre bisognose dell’IPPF.

L’organizzazione abortista dipende dai governi nazionali per il 71% del proprio budget e la riduzione delle donazioni operata l’anno scorso, complice la crisi, da Giappone, Svezia e Germania si è fatta ampiamente sentire. Soprattutto è però pesata molto l’analoga decisione del governo canadese, visto che ha fatto mancare all’organizzazione più di 5 milioni di dollari americani e che ancora sta discutendo se finanziarla nel 2011. In più, anche il contributo statunitense è pencolante, visto che nell’era di Barack Obama - di suo ben più generoso verso l’IPPF del suo predecessore George W. Bush jr. - molte assemblee legislative di Stati dell’Unione nordamericana - tra cui diverse di quelle che nelle elezioni di "medio termine" del 2 novembre 2010 hanno visto trionfare maggioranze apertamente pro-life - hanno deciso, per ciò che è di loro competenza, di non finanziare l’IPPF.

Sul punto è illuminante quanto documenta l’American Life League (ALL), una delle maggiori organizzazioni statunitensi in difesa della vita (e la maggiore di quelle cattoliche), diretta a Stafford, in Virginia, dalla cattolica Judie Brown. L’ALL - che fra i suoi progetti annovera STOPP, acronimo di "Stop Planned Parenthood", una task force dedicata fondata anni fa da James W. Sedlak, oggi vicepresidente della stessa ALL - ricostruisce bene il percorso che porta illegalmente nelle casse dell’aborto americano i circa 363 milioni di dollari di fondi federali che annualmente il governo americano garantisce all’IPPF affinché ci paghi i preservativi da distribuire gratis nel Paese e le lezioni di educazione sessuale che sponsorizza. Negli Stati Uniti esiste infatti l'"Hyde Amendment", ovvero una legge voluta dal defunto deputato Repubblicano e cattolico Henry J. Hyde (1924-2007) che dal 1976 impedisce - quando la Casa Bianca e il Congresso scelgono di rispettarla - di utilizzare il denaro dei contribuenti americani e i fondi per l’assistenza sanitaria nazionale per finanziare l’aborto, la stessa legge che permise a Bush jr. di negare i fondi all’IPPF e che invece l’Amministrazione Obama vive da sempre come spina nel fianco.

Per queste ragioni laddove non sortisce gli effetti sperati con le proprie esortazioni ai governi nazionali - l’ammanco denunciato dall’IPPF nel 2010 è di 16 milioni di dollari, cioè l’11% del bilancio -, l’ONU - che evidentemente ha molto a cuore le attività mondiali dell’IPPF - interviene direttamente di tasca propria. Anche perché le riduzioni di budget a cui stata costretta hanno portato l’IPPF a concentrare i propri sforzi proprio sull’obiettivo ONU nel tentativo di ottenere l’inclusione nei suoi documenti chiave di quei linguaggi più possibilisti che, per esempio, come auspicato dalla guida Exclaim!, tollerino anche il concetto di "diritti sessuali" o l’idea della "salute riproduttiva" come comprensiva pure dell’aborto.

I conti del 2010 rivelano infatti che il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) ha aumentato di più di 1,6 milioni di dollari e che un altro milione (e più) è stato elargito dall’UNAIDS, l’agenzia per la lotta all’infezione da HIV; che la più recente creazione del Palazzo di Vetro, Donne-ONU (UN Women), ha debuttato nell’elenco dei benefattori dell’IPPF con un versamento di 330mila biglietti verdi; e che altri 400mila dollari sono stato collettivamente offerti dalla Banca Mondiale, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e ancora da UNAIDS strettisi a cartello. Fra riduzioni di bilancio e aiuti ONU, comunque, l’IPPF riesce a mantenere sempre elevatissimi i numeri delle sue performancemondiali: 1.411.000 «servizi correlati all’aborto» e 152 milioni di preservativi distribuiti gratuitamente.

- Guarda il video dell'American Life League sulla violazione della Legge Hyde (in inglese)

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=iMkY93lU8HI

 

 

19/07/11

A Varsavia primo via libera per lo stop all'aborto

A Varsavia primo via libera per lo stop all'aborto

di Marco Respinti

06-07-2011

 

Con la collaborazione della dott. ssa Lidia Zawada

 

Il primo passo verso l’auspicata svolta storica la Polonia lo ha compiuto. La sua legislazione che, seppur a certe condizioni, consente l’aborto è ora un po’ meno impenetrabile. Come peraltro ci si attendeva, venerdì 1° luglio il Sejm, la "Camera bassa" del parlamento di Varsavia, ha votato la proposta di legge d’iniziativa popolare presentata all’aula il giorno precedente che, forte di 600mila firme raccolte dalla Fundacja PRO con l’appoggio dell’associazione civica Piotr Skarga, mire alla cancellazione totale e senza eccezioni dall’ordinamento giuridico polacco dell’interruzione volontaria della gravidanza. Per sostenere la decisione dell’aula, 40 deputati di diversi partiti hanno scelto di rendere alcune testimonianze davvero commoventi, in qualche caso persino personali.

Adesso - come appunto previsto - se ne occuperanno due Commissioni parlamentari, quella che cura le Politiche sociali e familiari, e quella competente per la Salute, quindi il testo tornerà al voto della Camera, a questo seguirà il voto del Senato e infine spetterà al presidente della repubblica pronunciarsi sulla trasformazione in legge della proposta. Contro un suo eventuale veto, il parlamento potrà a quel punto ancora agire un’ultima volta indicendo una votazione d’appello che vincerà solo ottenendo la maggioranza qualificata dei due terzi dei suffragi.

Ci voleva poco, dice però qualcuno, per ottenere un risultato così, comunque iniziale e ancora passibile d’invalidazione: dopo tutto - si osserva - si è trattato praticamente di un atto dovuto, tra l’altro compiuto da un’assise il 90% dei componenti la quale alla vigilia si dichiarava - nonostante tutto - cattolico. Certamente è vero, ma lo è in parte.

Anzitutto perché non è cosa da poco il solo fatto che in un Paese europeo - sia pure culturalmente e religiosamente particolare come la Polonia - scatti il semaforo verde - anche se per ora di routine - di fronte alla proposta di rivedere una legge percepita dalla mentalità (anche giuridica) corrente come "leggera" e dunque "tollerabile". In secondo luogo perché i bastoni tra le ruote qualcuno ha comunque provato a metterceli.

Il dibattito parlamentare di venerdì si è infatti svolto in due momenti successivi. Anzitutto l’aula è stata chiamata a esprimersi sulla mozione dell’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD) di rigettare per intero la proposta senza nemmeno discuterla. Quindi, bocciata quell’iniziativa con 254 voti a favore e 151 contrari (11 sono state le astensioni), su proposta del partito Legge e Giustizia (PiS) i parlamentari hanno finalmente deciso, con 261 voti a favore e 155 contrari (e un solo astenuto), d’inviare il testo alle due suddette Commissioni, inaugurando l’iter legislativo.

In occasione del primo voto, gli antiabortisti hanno cioè dovuto trovare la forza e i numeriper superare lo sbarramento eretto dagli ex comunisti spalleggiani in maniera determinante da ben 108 deputati (la maggioranza) del partito Piattaforma Civica (PO), ossia la formazione del primo ministro Donald Tusk.

Sull’aborto, insomma, il partito di governo si è spaccato in due (69 suoi deputati, uniti a 166 del PiS e a 31 del Partito dei coltivatori presenti in aula, hanno votato contro la mozione dell’SLD di cancellare la discussione). Lo stesso premier Tusk, sovente presentato fuori dai confini polacchi come un conservatore, incarna una opzione politica decisamente laicista del tutto allinata alle posizioni polticamente corrette e liberal che l’Unione Europea osserva e promuove su temi "eticamente sensibili".  In una intervista del 1° giugno a Gazeta Wyborcza di Varsavia - il secondo più diffuso quotidiano polacco, di orientamento progressista - Tusk si è del resto espresso a favore della legalizzare delle unioni omosessuali, sostenendo che il suo partito particherà la tolleranza zero verso coloro che il premier polacco definisce "omofobi". Ma evidentemente - il voto sull’aborto lo dimostra - nemmeno dentro il suo partito tutti la pensano in modo uguale, segno evidente del grande e trasversale scontro politico-culturale in atto oggi nel Paese.

Bronislaw Maria Komorowski, presidente della repubblica ed ex (secondo il titolo che dal secolo XV spetta al presidente della "Camera bassa" polacca) Maresciallo del Sejm, vicepresidente del PO cui sull’aborto spetterà il verdetto finale dopo i voti di Camera e Senato, ha dichiarato di non vedere alcuna necessità di modificare la legge giacché, a suo avviso, le disposizioni attuali garantiscono con il «massimo bene politicamente possibile» la protezione della vita nascente senza peraltro costringere le persone ad atti di "eroismo". Un numero enorme di polacchi, comunque, dall’intera gerarchia cattolica del Paese alla Sezione di ostetricia e ginecologia dell’Associazione Cattolica dei Medici Polacchi, che ha inviato unalettera aperta al Sejm in occasione del voto di venerdì, la pensa in modo esattamente contrario.

Né il cartello delle Sinistre - l’SLD, l’associazione ambientalista Green 2004, il Partito delle Donne, la Federazione per le donne e la pianificazione familiare, nonché l'associazione Campagna contro l'omofobia - batte la fiacca. Per l’autunno l’SLD promette una proposta di legge per la liberalizzazione dell'aborto, previa istituzione di corsi di educazione sessuale scolastici sin dalle classi elementari nonché il rimborso agli utenti sia di contraccettivi sia di operazioni di fecondazione in vitro. E per sostenere l’azione ha allestito di fronte al parlamento una mostra fotografica. Gran testimonial è l’ex ministro della salute Marek Balicki (SLD), per il quale la condizione femminile nella Polonia di oggi è identica a quella dell'Arabia Saudita o dell'Iran.

Un importante tassello di questa delicata ma accesa partita a scacchi è infine costituito dallo scenario mediatico. L'unico quotidiano nazionale fino a poco tempo fa attestato su posizioni conservatrici,Rzeczpospolita di Varsavia, è stato acquistato dalla società Grevimedia dell'imprenditore Grzegorz Hajdorowicz il cui consiglio di amministrazione è presieduto da Kasimierz Mohol, ex vicecapo del WSI, cioè gli eredi dei servizi segreti militari attivi durante il regime comunista. C’è chi pronostica un brusco mutamento di fronte, accompagnato da una valanga di licenziamenti, come del resto già successo per altre testate - per esempio il periodico cattolico conservatore Ozon, acquistato e subito chiuso - e alcune trasmissioni televisive. Contro il laicismo massicciamente diffuso nei media - dicono a La Bussola Quotidiana fonti polacche - restano quindi oggi soltanto Radio Maryja diretta a Tórun, nel nord del Paese, da don Tadeusz Rydzyk e il settimanale Gazeta Polska - fondato nel 1993 e diretto a Varsavia da Tomasz Sakiewicz -, che però ha diffusione solo locale.

Il 9 ottobre la Polonia andrà a elezioni politiche. Per il presidente Komorowski è ovvio che i partiti facciano a gara nel mostrasti già da ora più realisti del re in un Paese dove la gente è comunque fortemente sensibile ai "princìpi non negoziabili". Komorowski lo dice con gran cinismo. Noi, senza nemmeno un’ombra di sarcasmo, speriamo abbia ragione.

- «Cancellare l'aborto. La Polonia ci prova», di M. Respinti 

 

 

 

La surreale Cina di "Superquark"

La surreale Cina di "Superquark"

di Marco Respinti

15-07-2011

 

 

Ieri sera, giovedì 14 luglio, Rai1 ha mandato in onda l’ennesima puntata, estiva, di Superquark, il programma condotto da Piero Angela. Nella rubrica Scienza e società, secondo titolo del sommario, è stato trasmetto un documentario dedicato al nuovo censimento nella Cina del boom economico, conclusosi da poche settimane.

I cinesi, ha detto la voce fuori campo, sono più di un miliardo e trecento milioni. Tantissimi. A metterci una pezza, ha proseguito la voce narrante, ci ha però pensato il governo, che da decenni limita le nascite a un solo figlio per coppia. Unico problema, ha rintuzzato la voce, è che così si produce un progressivo invecchiamento della popolazione: statisticamente parlando, infatti, i cinesi giovani sono oggi meno di ieri e quelli anziani di più. Fine.

Non una parola del fatto che - ormai lo sanno anche i sassi - la politica cinese del figlio unicosi fonda sull’imposizione alle madri dell’aborto di Stato, con pene severe, tra cui multe, vessazioni e arresti, per chi coprisse - i padri o i genitori e i parenti della madre - le violazioni, vale a dire la messa al mondo di un bambino in più. Nessuna parola su questa colossale piaga che insanguina da decenni il Paese, che si dice essere stata sospesa o frenata, e che invece prosegue alacremente soprattutto nei quartieri meno visibili della sterminata provincia cinese dove nessuno sa realmente cosa accada. Nessuna parola sulle sofferenze, sulle angherie, sulle discriminazioni e sulle violazioni della dignità umana che la politica del figlio unico impone totalitariamente alle famiglie cinesi. Nessuna parola sul grande tributo pagato dalla Cina all’olocausto dell’aborto e nessuna parola sull’enorme vuoto di umanità creato dall’aborto politico cinese.

La suadente voce narrante ha dimenticato poi di citare pure la piaga nella piaga, ovvero quell’aborto selettivo che, sempre da decenni, in Cina - ma massicciamente anche in India e in altri Paesi asiatici - miete vittime speciali tra le bambine, considerate zavorranti rispetto ai maschi e per di più foriere per definizione di nuove nascite.
Non è, questa, una notizia da servizi segreti pro-life: è una notizia che oramai da anni, e ultimamente a ritmo sempre più insistente, trova ampio spazio sui quotidiani più diffusi e autorevoli, dal Corriere della Sera  a The New York Times, ne parlano The Economist e le Nazioni Unite, vi si scrivono libri, ne discutono i censimenti ufficiali di alcuni Paesi d’area (l’India per esempio).  Questo “gendercidio”  - o “femminicidio” - ha aperto voragini incolmabili nella demografia di diversi Paesi, la Cina tra i primi. Mancano così all’appello intere fette di popolazione, cioè milioni di bambine.

Nessune parola, infine, nemmeno sulle migliaia di esecuzioni capitali che vengono ogni anno condotte nel Paese per motivi politici –  e utili a servire il commercio di organi per trapianto - che pure incide sugli assetti demografici.

Una Cina surreale, insomma, quella di Superquark, depurata dei suoi aspetti più imbarazzanti.

 

- India, l'aborto selettivo fa strage di bambine, di Marco Respinti

- "Gendercidio": all'ONU si firma contro l'aborto selettivo, di Francesca Paci, "La Stampa" ("L'Onu: metà del mondo non è per le donne"), 16 giugno 2011

- La selezione innaturale delle bambine asiatiche, di Nicoletta Tiliacos, "Il Foglio", 29 giugno 2011 

- I liberal sono contro il "femminicidio" ma giustificano il diritto all'aborto, di Ross Douthat, "l'Occidentale", 12 luglio 2011 (da "The New York Times")

- L'"altra metà del Cielo" tradita dai giganti d'asia, di Paolo Salom, "Corriere della Sera", 12 luglio 2011 

 

 

194, la lezione del Piemonte

Fonte: bussolaquotidiana

 

194, la lezione del Piemonte

di Mario Palmaro

19-07-2011

 


Fuori i volontari pro life dai consultori pubblici. Lo ha stabilito il Tar del Piemonte, che è intervenuto a piedi uniti sulla decisione del Governatore della Regione, Roberto Cota, il quale - insieme alla maggioranza sostenuta da Lega e Partito della Libertà - aveva invece aperto le porte alla collaborazione con la Federazione piemontese del Movimento per la Vita, guidata da Marisa Orecchia.
 

 

La sentenza del Tar ha un forte significato politico. I giudici amministrativi, infatti, hanno cancellato un “esperimento” che poteva avere una straordinaria rilevanza innovativa anche a livello nazionale, perché vedeva una regione italiana riconoscere ai volontari antiabortisti un ruolo attivo all’interno delle strutture dello stato. Strutture nelle quali abitualmente prevale la logica della mera certificazione della volontà della donna, al punto che certi consultori si meritano l’appellativo di “abortifici”.

 

Il Tar piemontese ha voluto lanciare un segnale a tutte le regioni: castigare un governatore per ammonirli tutti. Con questa decisione si è voluto stoppare una scelta forte di Roberto Cota, leghista e cattolico, che nella sua campagna elettorale si era impegnato pubblicamente sul fronte dei valori non negoziabili. Cota aveva anche sottoscritto pubblicamente un “Patto per la vita”, chiamando alcuni esponenti del mondo cattolico – Massimo Introvigne, Mauro Ronco, Maria Paola Tripoli e la già citata Marisa Orecchia – a fare da “garanti” all’effettiva attuazione degli impegni assunti. Questa scelta ha permesso a Cota di sconfiggere, contro molte previsioni, il suo avversario, l’abortista e laicista Mercedes Bresso, sostenuta per altro dall’Udc di Pierferdinando Casini.

 

Appena eletto, Cota ha onorato i suoi impegni, e il Tar gli ha risposto con questa decisione evidentemente punitiva e ideologica. 

Ma questa sentenza amministrativa dice anche un’altra cosa, forse ancor più importante: conferma che la  194 del 1978 è una legge totalmente, inequivocabilmente abortista. Da molti anni si è diffusa nel mondo cattolico una leggenda, quella secondo cui il legislatore italiano avrebbe voluto, con la 194, combattere la piaga dell’aborto. Questa tesi sarebbe stata corroborata dall’esistenza di una “parte buona” della legge, rimasta inapplicata, orientata a dissuadere la donna intenzionata all’aborto. Il legislatore del 1978 voleva aiutare la donna a cambiare idea, ma poi – a causa di una distrazione collettiva durata 30 anni – questa nobile intenzione sarebbe stata dimenticata.

 

Ora, purtroppo nulla di tutto questo corrisponde a verità, e i giudici del Tar lo hanno dimostrato. Il legislatore del 1978 – un misto di istanze comuniste, socialiste, radicali e cattocomuniste – volle effettivamente “socializzare” l’aborto, cioè far pagare allo Stato l’aborto (negli Usa non è così) e prevedere la rimozione delle cause che inducevano la madre a richiedere l’aborto. Ma questa azione di assistenza sociale è preceduta da una barriera invalicabile: l’autodeterminazione della donna. Se è lei a chiedere un aiuto, allora la si aiuti. Se vuole soldi, latte in polvere e una casa, la si mandi dai soliti cattolici, che qualcosa si inventeranno. Ma questo non c'entra nulla con un’iniziativa unilaterale dello Stato, che cerchi di convincere una madre a cambiare idea sull’aborto. 

Il nodo è precisamente questo. Lo stato italiano con la legge 194 ha voluto sancire la sua totale neutralità di fronte alla condotta della donna: che scelga per la vita o contro la vita, non fa alcuna differenza.  Questa logica ispiratrice della legge 194  si traduce coerentemente nei suoi articoli e nella pluridecennale giurisprudenza che l’ha interpretata e applicata. Ed è proprio a causa di questa ratio che da più di 30 anni l’attività dei Centri di aiuto alla vita e di ogni associazione pro life è ostacolata in ogni modo. I volontari di questa galassia, infatti, non pensano affatto che abortire e non abortire siano la stessa cosa, e se incontrano una donna, nei modi e nelle forme più opportune, glielo dicono. Ma questo servizio alla verità è, obiettivamente, fuori legge.

 

Dunque, almeno in questo, dobbiamo ammettere che il Tar ha applicato in maniera coerente lo spirito della legge 194 del 1978. Ovviamente, questo non mette a posto la coscienza dei giudici, perché la mera applicazione delle leggi in vigore non basta a rendere giusta una sentenza: il ‘900 totalitario e sanguinario è costellato di sentenze “coerenti” con le leggi in vigore. Ma cerchiamo di aprire gli occhi di fronte a questa ennesima “lezione”: tirare fuori cose buone dalla 194 è come tentare di cavare il sangue dalle rape.

 

l'incremento di aborti in Inghilterra e Galles

Un dossier che rivela l'incremento di aborti in Inghilterra e Galles. Molti avvenuti oltre i limiti consentiti dalla legge, su bambini handicappati o portatori di malattie ereditarie. Gli handicap per cui i bambini vengono abortiti non sono solo le sindromi di Down, ma anche semplici labbri leporini e palatoschisi, entrambi malformazioni fisiche comunissime e tra l'altro correggibili. Per ottenere la pubblicazione dei dati la ProLife Alliance, un associazione inglese per la difesa dei bambini, ha dovuto combattere sei anni.

Nel 2005 infatti l'associazione aveva chiesto al Dipartimento di Salute nazionale di pubblicare i dati per verificare la percentuale di aborti tardivi (oltre le 24 settimane previste per legge): aumentavano solo per via di piccole malformazioni gli aborti di bambini ormai completamente formati. Il Dipartimento della Salute, però, si era rifiutato di mettere nero su bianco i numeri. Ma l'Alta Corte inglese ha dato ragione all'associazione ProLife. Risulta che nel periodo tra il 2002 e il 2010 il numero complessivo degli aborti è aumentato dell'8 per cento: nel 2000 infatti se ne contavano 175.542, mentre nel 2010 il totale degli aborti è salito a 189.574. Con il tasso di aborto più elevato tra i 19enni e i 20enni, con 33 donne su 1000 che interrompono la gravidanza. Un'impennata significativa, dal 12 al 43%, è degli aborti farmacologici.

I dati segnalano poi l'incremento delle interruzioni di gravidanza al di là delle settimane di gestazione consentite e al di sotto dell'età fissata per il consenso (16 anni) e l'incremento degli aborti di un terzo (10 volte quello globale) per disabilità, presunta o effettiva, del bambino: solo nel 2010 sono stati 482 i bambini abortiti per sindrome di Down, altri 181 per familiarità genetica con sindromi ereditarie. In totale, 2.290 persone sono state uccise a causa di qualche problema genetico o handicap. Si aggiunge, l'impennata delle recidive (34 per cento di chi abortisce ha già interrotto la gravidanza una o più volte), a dimostrare come ormai l'aborto sia sempre meno un gesto disperato, un'extrema ratio.

Ann Furedi, direttrice del Servizio nazionale inglese di consulenza per la gravidanza(BPAS) nel pubblicare i dati - rivendicando la vendetta dei pro life che «hanno voluto la pubblicazione delle statistiche» -, li ha giustificati così: «L'aborto per le anomalie fetali è legale. Dietro ognuna di queste cifre ci sono medici e infermieri che meritano la nostra ammirazione e supporto». L'aborto sembra quindi diventato un atto eroico. Parte della stampa laica ha però espresso preoccupazione per i rischi sulla salute della donna e per il rischio delle gravidanze successive. Il Times del 5 luglio ha pubblicato uno studio a riguardo. Il Daily Telegraph invece si è spinto più in là, fino a raccontare la storia di una donna, nata con il labbro leporino, che racconta l'indipendenza del valore della vita dalle sue condizioni: «I miei genitori mi hanno voluta nonostante la pressione di alcuni medici... mi hanno ricevuta come un dono così ho conosciuto la speranza», scrive la donna. «Mio fratello è Down, non c'è operazione che possa togliergli la sindrome, ma è parte di lui e non lo vorremmo senza».

 

Fonte: tempi.it

 

 

11/07/11

Forza Polonia

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-a-varsavia-primo-via-libera-per-lo-stop-allaborto-2371.htm

 

A Varsavia primo via libera per lo stop all'aborto

di Marco Respinti

06-07-2011

 

Con la collaborazione della dott. ssa Lidia Zawada

 

Il primo passo verso l’auspicata svolta storica la Polonia lo ha compiuto. La sua legislazione che, seppur a certe condizioni, consente l’aborto è ora un po’ meno impenetrabile. Come peraltro ci si attendeva, venerdì 1° luglio il Sejm, la "Camera bassa" del parlamento di Varsavia, ha votato la proposta di legge d’iniziativa popolare presentata all’aula il giorno precedente che, forte di 600mila firme raccolte dalla Fundacja PRO con l’appoggio dell’associazione civica Piotr Skarga, mire alla cancellazione totale e senza eccezioni dall’ordinamento giuridico polacco dell’interruzione volontaria della gravidanza. Per sostenere la decisione dell’aula, 40 deputati di diversi partiti hanno scelto di rendere alcune testimonianze davvero commoventi, in qualche caso persino personali.

Adesso - come appunto previsto - se ne occuperanno due Commissioni parlamentari, quella che cura le Politiche sociali e familiari, e quella competente per la Salute, quindi il testo tornerà al voto della Camera, a questo seguirà il voto del Senato e infine spetterà al presidente della repubblica pronunciarsi sulla trasformazione in legge della proposta. Contro un suo eventuale veto, il parlamento potrà a quel punto ancora agire un’ultima volta indicendo una votazione d’appello che vincerà solo ottenendo la maggioranza qualificata dei due terzi dei suffragi.

Ci voleva poco, dice però qualcuno, per ottenere un risultato così, comunque iniziale e ancora passibile d’invalidazione: dopo tutto - si osserva - si è trattato praticamente di un atto dovuto, tra l’altro compiuto da un’assise il 90% dei componenti la quale alla vigilia si dichiarava - nonostante tutto - cattolico. Certamente è vero, ma lo è in parte.

Anzitutto perché non è cosa da poco il solo fatto che in un Paese europeo - sia pure culturalmente e religiosamente particolare come la Polonia - scatti il semaforo verde - anche se per ora di routine - di fronte alla proposta di rivedere una legge percepita dalla mentalità (anche giuridica) corrente come "leggera" e dunque "tollerabile". In secondo luogo perché i bastoni tra le ruote qualcuno ha comunque provato a metterceli.

Il dibattito parlamentare di venerdì si è infatti svolto in due momenti successivi. Anzitutto l’aula è stata chiamata a esprimersi sulla mozione dell’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD) di rigettare per intero la proposta senza nemmeno discuterla. Quindi, bocciata quell’iniziativa con 254 voti a favore e 151 contrari (11 sono state le astensioni), su proposta del partito Legge e Giustizia (PiS) i parlamentari hanno finalmente deciso, con 261 voti a favore e 155 contrari (e un solo astenuto), d’inviare il testo alle due suddette Commissioni, inaugurando l’iter legislativo.

In occasione del primo voto, gli antiabortisti hanno cioè dovuto trovare la forza e i numeriper superare lo sbarramento eretto dagli ex comunisti spalleggiani in maniera determinante da ben 108 deputati (la maggioranza) del partito Piattaforma Civica (PO), ossia la formazione del primo ministro Donald Tusk.

Sull’aborto, insomma, il partito di governo si è spaccato in due (69 suoi deputati, uniti a 166 del PiS e a 31 del Partito dei coltivatori presenti in aula, hanno votato contro la mozione dell’SLD di cancellare la discussione). Lo stesso premier Tusk, sovente presentato fuori dai confini polacchi come un conservatore, incarna una opzione politica decisamente laicista del tutto allinata alle posizioni polticamente corrette e liberal che l’Unione Europea osserva e promuove su temi "eticamente sensibili".  In una intervista del 1° giugno a Gazeta Wyborcza di Varsavia - il secondo più diffuso quotidiano polacco, di orientamento progressista - Tusk si è del resto espresso a favore della legalizzare delle unioni omosessuali, sostenendo che il suo partito particherà la tolleranza zero verso coloro che il premier polacco definisce "omofobi". Ma evidentemente - il voto sull’aborto lo dimostra - nemmeno dentro il suo partito tutti la pensano in modo uguale, segno evidente del grande e trasversale scontro politico-culturale in atto oggi nel Paese.

Bronislaw Maria Komorowski, presidente della repubblica ed ex (secondo il titolo che dal secolo XV spetta al presidente della "Camera bassa" polacca) Maresciallo del Sejm, vicepresidente del PO cui sull’aborto spetterà il verdetto finale dopo i voti di Camera e Senato, ha dichiarato di non vedere alcuna necessità di modificare la legge giacché, a suo avviso, le disposizioni attuali garantiscono con il «massimo bene politicamente possibile» la protezione della vita nascente senza peraltro costringere le persone ad atti di "eroismo". Un numero enorme di polacchi, comunque, dall’intera gerarchia cattolica del Paese alla Sezione di ostetricia e ginecologia dell’Associazione Cattolica dei Medici Polacchi, che ha inviato unalettera aperta al Sejm in occasione del voto di venerdì, la pensa in modo esattamente contrario.

Né il cartello delle Sinistre - l’SLD, l’associazione ambientalista Green 2004, il Partito delle Donne, la Federazione per le donne e la pianificazione familiare, nonché l'associazione Campagna contro l'omofobia - batte la fiacca. Per l’autunno l’SLD promette una proposta di legge per la liberalizzazione dell'aborto, previa istituzione di corsi di educazione sessuale scolastici sin dalle classi elementari nonché il rimborso agli utenti sia di contraccettivi sia di operazioni di fecondazione in vitro. E per sostenere l’azione ha allestito di fronte al parlamento una mostra fotografica. Gran testimonial è l’ex ministro della salute Marek Balicki (SLD), per il quale la condizione femminile nella Polonia di oggi è identica a quella dell'Arabia Saudita o dell'Iran.

Un importante tassello di questa delicata ma accesa partita a scacchi è infine costituito dallo scenario mediatico. L'unico quotidiano nazionale fino a poco tempo fa attestato su posizioni conservatrici,Rzeczpospolita di Varsavia, è stato acquistato dalla società Grevimedia dell'imprenditore Grzegorz Hajdorowicz il cui consiglio di amministrazione è presieduto da Kasimierz Mohol, ex vicecapo del WSI, cioè gli eredi dei servizi segreti militari attivi durante il regime comunista. C’è chi pronostica un brusco mutamento di fronte, accompagnato da una valanga di licenziamenti, come del resto già successo per altre testate - per esempio il periodico cattolico conservatore Ozon, acquistato e subito chiuso - e alcune trasmissioni televisive. Contro il laicismo massicciamente diffuso nei media - dicono a La Bussola Quotidiana fonti polacche - restano quindi oggi soltanto Radio Maryja diretta a Tórun, nel nord del Paese, da don Tadeusz Rydzyk e il settimanale Gazeta Polska - fondato nel 1993 e diretto a Varsavia da Tomasz Sakiewicz -, che però ha diffusione solo locale.

Il 9 ottobre la Polonia andrà a elezioni politiche. Per il presidente Komorowski è ovvio che i partiti facciano a gara nel mostrasti già da ora più realisti del re in un Paese dove la gente è comunque fortemente sensibile ai "princìpi non negoziabili". Komorowski lo dice con gran cinismo. Noi, senza nemmeno un’ombra di sarcasmo, speriamo abbia ragione.

 

 

 

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